Doug Paisley
Say What You Like
(Doug Paisley, 2023)
File Under: …and said it slowly
E’ per noi una sorta di sollievo sapere che nascono ancora
artisti come Doug Paisley, non tanto perché un personaggio del genere,
nato alla scuola cantautoriale dei post-John Prine tipo Slaid Cleaves, Darden
Smith o Rod Picott (per dire tre nomi tra i tantissimi), possa poi davvero
riscrivere il mondo musicale americano, quanto perché anche un disco come Say
What You Like, nato in piena filosofia del less is better, rappresenta
sempre un bellissimo esempio di come si scrivono canzoni semplici ma
emozionanti. Canadese nato alla scuola di Gordon Lightfoot, dopo un tentativo
come indie-folker (seguì in tour Bonnie Prince Billy usando il nome d’arte Dark
Hand and Lamplight), dal 2008 Doug ha portato avanti una carriera senza clamori,
ma con tanti riconoscimenti da stampa e pubblico locale. Se ve li siete persi,
titoli come Constant Companion del 2010 o il bellissimo Strong Feelings
del 2014 (dove comparivano addirittura Garth Hudson e Margareth O’Hara), sono
sicuramente gli album da recuperare anche dopo aver apprezzato questa nuova
fatica. Say What You Like è un quadretto di undici belle
canzoni che musicalmente strizzano spesso l’occhio al mondo Laid Back di
JJ Cale (subito evidente nella title-track in apertura) o il Mark Knopfler
solista (Wide Open Plain sembra un brano del Van Morrison epoca
Beautiful Vision con assolo alla Knopfler), pur conservando la struttura
country (If I Wanted To) o folk (Almost) che rappresenta la
radice musicale principale di Paisley. Si segnalano per immediatezza la bellissima
ballad Rewrite History, impreziosita dalla voce di Felicity Williams,
una I Wanted It Too Much che riflette perfettamente sulle ansie
dell’amore, e una finale Old Hometown che racconta storie di casa con la
stessa delicatezza del miglior John Gorka. Per il resto il disco ha una
produzione secca che mette in primissimo piano le chitarre di Christine Bougie
e Afie Jurvanen (musicista molto valido, sentito anche alle spalle di
Feist, che è anche produttore dell’album), e lascia in sottofondo la sezione
ritmica di Darcy Yates e Don Kerr, sempre attenta a non invadere, a parte forse
nel momento più scanzonato e radiofonico di Make It A Double. Non è dunque
un disco da autostrada quanto da tramonto visto dal portico questo Say What
You Like, dotato di quel piccolo tocco di malinconia che vi farà sentire
bene senza troppo intristirvi.
Nicola Gervasini
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