lunedì 15 settembre 2008

DAVIDE VAN DE SFROOS - Pica!


07/03/2008

Rootshighway


VOTO: 7,5



Da varesino d.o.c. quale sono potrei approfittare dell'occasione e riesumare atavici campanilismi per offendere un comasco. Ci vuole poco in questo caso, basterebbe accogliere questo Pica! con il più classico dei luoghi comuni: "ah, se fosse un americano piacerebbe a tutti!". Ma per vostra fortuna non sono molto incline a certi odi da tifoseria calcistica e non ho nessuna intenzione di trattare il signor Davide Bernasconi, in arte Van De Sfroos, con la pietosa accondiscendenza che a volte riserviamo ai nostri compatrioti. Invece no, Van De Sfroos merita qualcosa di più di un semplice rispetto e incoraggiamento, perché Pica! è il quinto capitolo di un percorso artistico vero, ed è il classico album che comprende e riassume il tutto, le strade già battute, quelle appena abbozzate e qualche nuovo tentativo di svilupparsi ulteriormente. C'è il solito mix di folk irlandese, country americano e tradizione lombarda, ma in più stavolta anche dosi massicce di musica cajun. Il che ci fa arrivare subito al pezzo forte del disco, quella New Orleans che sembra il brano che non è venuto in mente a Zachary Richard l'anno scorso quando descrisse la tragica alluvione della città nell'ottimo Lumière Dans Le Noir. Ovviamente Davide non può sentire nel cuore la ferita d'orgoglio che la tragedia ha rappresentato per ogni americano, per cui racconta il disastro con lo stesso divertito ma rispettoso distacco con cui De Gregori descrisse l'affondamento del Titanic, descrivendo l'illusione della felicità di un innamorato e la successiva deriva delle speranze. Il meglio di Pica! esce comunque dalle storie dell'alta Lombardia, che rappresentano un grande contributo letterario, prima ancora che canzonettaro, come la storia dei minatori valtellinesi de Il Minatore di Frontale, con il refrain che dà il titolo al disco che sembra uscito dai viaggi africani del Paul Simon di Graceland, o la bellissima piano-song di 40 Pass, una dedica al mito tutto lombardo di Milano e della sua Madonnina. E ancora la storia d'amore di Loena De Picch, la dedica all'arte della manifattura dei natanti de Il Costruttore di Motoscafi, l'emigrante di Furestee, tutte novelle di un libro che racconta le valli del Lago di Como con lo stesso misto di realismo e ironia con cui Piero Chiara raccontò quelle del varesotto, con quella capacità di trasformare le tipiche macchiette da paese in personaggi mitologici (si ascolti anche la travolgente L'Alain Delon de Lenn, uno dei brani più riusciti anche come arrangiamento). La Ballata del Cimino riprende il tema dei contrabbandieri da cui deriva anche il suo nome d'arte, un'epopea che i vecchi delle zone limitrofe alla Svizzera ancora oggi raccontano con malinconia, e che ben è stata descritta anche nel recente libro "La terra della mia anima" di Massimo Carlotto. Ognuna di queste canzoni ha una storia da raccontare, a volte vera (Lo Sciamano), a volte forzatamente favoleggiata (la non riuscitissima romanza fantasy de Il Cavaliere Senza Morte). Purtroppo il disco ha il difetto di essere eccessivamente lungo, più che altro considerando che alcuni brani proprio non reggono il confronto con quelli citati (Fiil De Ferr, ma anche il singolo dal ritornello un po' facilone di La Terza Onda). Errori da grande artista e di un disco che ha riassunto davvero tutto, pregi e difetti, limiti e orizzonti di un uomo che dalle sagre paesane finirà ad esibirsi come i big al Datchforum di Milano non avendo perso davvero nulla della sua genuinità. (Nicola Gervasini)

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