aprile 2007
Rootshighway
VOTO: 8,5
Un album live di Bruce Springsteen è teoricamente quanto di più inutile e inevitabilmente obsoleto esista nel mondo discografico. Il fedele popolo di Bruce è noto fin dagli anni settanta per la continua ricerca di ogni sua registrazione live, e nessuna uscita ufficiale potrà mai eguagliare l'emozione di un suo singolo concerto o la registrazione nuda e cruda di una intera serata. Eppure in un certo senso i live ufficiali della sua carriera hanno sempre segnato una milestone della sua storia: il "quintuplo" del 1986 era l'apoteosi di un era (e di una band) irripetibile, il Plugged di MTV del 1993 era in fondo un fedele specchio di un periodo pieno di certezze di vita e grandi incertezze artistiche, il Live In New York City del 2001 descriveva bene la gioia di una ripartenza. Per questa ragione Live In Dublin appare come un inevitabile appuntamento, la degna chiusura di un avventura nata per caso durante le session di un disco tributo nel 1997, e diventata, nel 2006, una delle fasi musicalmente più entusiasmanti e convincenti del Bruce post Born In The Usa. Il disco è una sorta di "the best" di tre serate tenute nel novembre scorso al The Point di Dublino, comprensivo di versione video in DVD giusto per rendere il piatto più ricco e completo. Quella che viene documentata è dunque la fase finale di un tour spettacolare, con la Seeger Session Band ormai pienamente affiatata, e un repertorio che si era fatto via via sempre più ricco e composito. Inutile mettersi a discutere sulla scelta delle canzoni, su quali manchino all'appello tra quelle suonate nel corso di tutto l'anno, su quali siano state eseguite in versioni più trascinanti in altre serate, ecc., ecc. Questa è materia per forum e discussioni per springsteenofili di ogni livello, noi ci limiteremo a dire che qui sono presenti alcuni brani che meritavano una ufficializzazione e che sarebbe stato un peccato lasciare relegati al mercato dei bootleggers. Tra questi sicuramente figurano American Land, omaggio di Bruce alla terra dei suoi avi paterni, tanto ben suonata da rendere fortunatamente inutile l'acquisto della seconda edizione dell'album in studio che la comprendeva (non approfondisco qui la polemica su simili operazioni commerciali, a cui Bruce purtroppo sembra ormai abbonato fin dai tempi dello scandaloso 18 Tracks). Certo è che tutte le versioni presenti in questo album finiranno per rendere il suo predecessore in studio assolutamente superato, incapace come sarà da ora in poi di ricreare il caleidoscopio di colori sonori della seconda parte della tournee, e questa sembra già la vittoria più evidente di Live In Dublin. Godiamoci dunque la definitiva ammissione nel repertorio ufficiale di How Can A Poor Man Stand Such Times And Live, di When The Saints Go Marching In, di This Little Light Of Mine, fino alla sorprendente Love Of The Common People, che per le cronache è un brano gospel del 1966 che fu suonato persino dal giovane Elton John e da John Denver, ma per il mondo sarà comunque una cover della mega-hit di Paul Young. Godiamoci anche i brani classici suonati con questa band, con Open All Night assoluta punta di diamante di una serie di felici rivisitazioni gospel di Nebraska, tra cui le qui presenti Atlantic City e Highway Patrolman, ma anche le stravolte Further On (Up The Road) e Blinded By The Light. Godiamoci un DVD severo e rigido come lo spartano packaging della copertina (in linea con lo stile grafico un po' ingessato di tutto l'ultimo Springsteen), con nove telecamere impegnate a cogliere visi e espressioni, ma che perdono ogni tanto qualche visione di insieme più utile a documentare le sensazioni del pubblico. Godiamoci lo spettacolo di una band stellare, nonostante fosse composta da pochi veri professionisti, e che vorremmo a questo punto vedere alle prese con un disco di canzoni originali di Bruce, tanto sono stati all'altezza della situazione. Ma dietro l'angolo, per il prossimo disco, potrebbe esserci di nuovo la E.Street Band, e il mito non si può far aspettare oltre… (Nicola Gervasini)
Rootshighway
VOTO: 8,5
Un album live di Bruce Springsteen è teoricamente quanto di più inutile e inevitabilmente obsoleto esista nel mondo discografico. Il fedele popolo di Bruce è noto fin dagli anni settanta per la continua ricerca di ogni sua registrazione live, e nessuna uscita ufficiale potrà mai eguagliare l'emozione di un suo singolo concerto o la registrazione nuda e cruda di una intera serata. Eppure in un certo senso i live ufficiali della sua carriera hanno sempre segnato una milestone della sua storia: il "quintuplo" del 1986 era l'apoteosi di un era (e di una band) irripetibile, il Plugged di MTV del 1993 era in fondo un fedele specchio di un periodo pieno di certezze di vita e grandi incertezze artistiche, il Live In New York City del 2001 descriveva bene la gioia di una ripartenza. Per questa ragione Live In Dublin appare come un inevitabile appuntamento, la degna chiusura di un avventura nata per caso durante le session di un disco tributo nel 1997, e diventata, nel 2006, una delle fasi musicalmente più entusiasmanti e convincenti del Bruce post Born In The Usa. Il disco è una sorta di "the best" di tre serate tenute nel novembre scorso al The Point di Dublino, comprensivo di versione video in DVD giusto per rendere il piatto più ricco e completo. Quella che viene documentata è dunque la fase finale di un tour spettacolare, con la Seeger Session Band ormai pienamente affiatata, e un repertorio che si era fatto via via sempre più ricco e composito. Inutile mettersi a discutere sulla scelta delle canzoni, su quali manchino all'appello tra quelle suonate nel corso di tutto l'anno, su quali siano state eseguite in versioni più trascinanti in altre serate, ecc., ecc. Questa è materia per forum e discussioni per springsteenofili di ogni livello, noi ci limiteremo a dire che qui sono presenti alcuni brani che meritavano una ufficializzazione e che sarebbe stato un peccato lasciare relegati al mercato dei bootleggers. Tra questi sicuramente figurano American Land, omaggio di Bruce alla terra dei suoi avi paterni, tanto ben suonata da rendere fortunatamente inutile l'acquisto della seconda edizione dell'album in studio che la comprendeva (non approfondisco qui la polemica su simili operazioni commerciali, a cui Bruce purtroppo sembra ormai abbonato fin dai tempi dello scandaloso 18 Tracks). Certo è che tutte le versioni presenti in questo album finiranno per rendere il suo predecessore in studio assolutamente superato, incapace come sarà da ora in poi di ricreare il caleidoscopio di colori sonori della seconda parte della tournee, e questa sembra già la vittoria più evidente di Live In Dublin. Godiamoci dunque la definitiva ammissione nel repertorio ufficiale di How Can A Poor Man Stand Such Times And Live, di When The Saints Go Marching In, di This Little Light Of Mine, fino alla sorprendente Love Of The Common People, che per le cronache è un brano gospel del 1966 che fu suonato persino dal giovane Elton John e da John Denver, ma per il mondo sarà comunque una cover della mega-hit di Paul Young. Godiamoci anche i brani classici suonati con questa band, con Open All Night assoluta punta di diamante di una serie di felici rivisitazioni gospel di Nebraska, tra cui le qui presenti Atlantic City e Highway Patrolman, ma anche le stravolte Further On (Up The Road) e Blinded By The Light. Godiamoci un DVD severo e rigido come lo spartano packaging della copertina (in linea con lo stile grafico un po' ingessato di tutto l'ultimo Springsteen), con nove telecamere impegnate a cogliere visi e espressioni, ma che perdono ogni tanto qualche visione di insieme più utile a documentare le sensazioni del pubblico. Godiamoci lo spettacolo di una band stellare, nonostante fosse composta da pochi veri professionisti, e che vorremmo a questo punto vedere alle prese con un disco di canzoni originali di Bruce, tanto sono stati all'altezza della situazione. Ma dietro l'angolo, per il prossimo disco, potrebbe esserci di nuovo la E.Street Band, e il mito non si può far aspettare oltre… (Nicola Gervasini)
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