08/09/2008
Rootshighway
VOTO: 7
Paladino del soffuso e mentore del soft-core musicale fin dalla metà degli anni '90, Neil Halstead è diventato ormai da tempo uno dei punti di riferimento del nuovo folk indipendente inglese. Prima con gli Slowdive, poi con i Mojave 3, Halstead è stato un pioniere del low-fi d'oltre-manica, uno shakeratore dello spleen di Nick Drake con la sregolatezza del folk-pop più stralunato proveniente da entrambe le sponde dell'oceano Atlantico. Già nel 2002 si era concesso una pausa dalla parca e ragionata produzione dei Mojave 3 con un bel disco solista (Sleeping on Roads), quasi un suo modo di mettere ordine e rigore al mondo del "quiet is the new loud" che proprio in quegli anni conquistava anche le charts internazionali con altri protagonisti. Oh! Mighty Engine, il suo secondo lavoro solista, arriva quando la festa sembra essere finita, con il genere ancora più che mai vivo in termini di influenza e nuove leve, ma ormai di nuovo relegato al mondo indipendente e alle popolazioni di ascoltatori di nicchia. Un affievolirsi delle luci della ribalta che Halstead sembra quasi avvertire, se è vero che Oh! Mighty Engine non concede nulla a nessuno, non tenta di conquistarsi nuove simpatie, ma si rivolge ad un pubblico già predisposto a 46 minuti di tinte pastello tenui e malinconiche. E se Sleeping On Roads si lasciava andare a sortite nella West Coast al crepuscolo, Oh! Mighty Engine si chiude a riccio nelle campagne inglesi, cerca come sempre lo spirito di Nick Drake con piccoli "raggi di Pink Moon" come Elevenses o ancor più Paint A Face, mentre perde un po' per strada l'America del country-folk che in qualche modo sempre serpeggiava nelle vene della musica dei Mojave 3. E soprattutto non concede pause, gli arpeggi della sua acustica commentano il suo "Nylon Rock" (come lui stesso ha scherzosamente definito il suo stile, riferendosi al materiale delle corde della sua chitarra) senza grandi diversivi, se non la batteria elettronica offerta da Always The Good (con giro di chitarra alla Cure annesso) o la delizia di una pop-song come Queen Bee. Si fanno notare anche il contrappunto di mandolino che galvanizza A Gentle Heart o la pedal steel che commenta la bella title-track iniziale, ma per il resto Halstead decide di bastare a sé stesso, affidandosi alla sua grande capacità di trovare melodie invitanti quasi in tutte le occasioni. Viene così poco sfruttata la co-produzione di Robert Carranza, uno che ha imparato a creare suoni dietro le quinte dei dischi di Beck e Bjork, e oggi passa dai Los Lobos ai Mars Volta con disinvoltura. Little Twig, No Mercy For The Muse o Sometimes The Wheels sono mattoni d'obbligo nel muro di malinconia che vi state costruendo intorno allo stereo, se invece pensate ancora che il rock questi muri serva ad abbatterli, tenetevi a debita distanza da Oh! Mighty Engine: potrebbe anche farvi venir voglia di una piacevole crisi depressiva pre-autunnale (Nicola Gervasini)
Rootshighway
VOTO: 7
Paladino del soffuso e mentore del soft-core musicale fin dalla metà degli anni '90, Neil Halstead è diventato ormai da tempo uno dei punti di riferimento del nuovo folk indipendente inglese. Prima con gli Slowdive, poi con i Mojave 3, Halstead è stato un pioniere del low-fi d'oltre-manica, uno shakeratore dello spleen di Nick Drake con la sregolatezza del folk-pop più stralunato proveniente da entrambe le sponde dell'oceano Atlantico. Già nel 2002 si era concesso una pausa dalla parca e ragionata produzione dei Mojave 3 con un bel disco solista (Sleeping on Roads), quasi un suo modo di mettere ordine e rigore al mondo del "quiet is the new loud" che proprio in quegli anni conquistava anche le charts internazionali con altri protagonisti. Oh! Mighty Engine, il suo secondo lavoro solista, arriva quando la festa sembra essere finita, con il genere ancora più che mai vivo in termini di influenza e nuove leve, ma ormai di nuovo relegato al mondo indipendente e alle popolazioni di ascoltatori di nicchia. Un affievolirsi delle luci della ribalta che Halstead sembra quasi avvertire, se è vero che Oh! Mighty Engine non concede nulla a nessuno, non tenta di conquistarsi nuove simpatie, ma si rivolge ad un pubblico già predisposto a 46 minuti di tinte pastello tenui e malinconiche. E se Sleeping On Roads si lasciava andare a sortite nella West Coast al crepuscolo, Oh! Mighty Engine si chiude a riccio nelle campagne inglesi, cerca come sempre lo spirito di Nick Drake con piccoli "raggi di Pink Moon" come Elevenses o ancor più Paint A Face, mentre perde un po' per strada l'America del country-folk che in qualche modo sempre serpeggiava nelle vene della musica dei Mojave 3. E soprattutto non concede pause, gli arpeggi della sua acustica commentano il suo "Nylon Rock" (come lui stesso ha scherzosamente definito il suo stile, riferendosi al materiale delle corde della sua chitarra) senza grandi diversivi, se non la batteria elettronica offerta da Always The Good (con giro di chitarra alla Cure annesso) o la delizia di una pop-song come Queen Bee. Si fanno notare anche il contrappunto di mandolino che galvanizza A Gentle Heart o la pedal steel che commenta la bella title-track iniziale, ma per il resto Halstead decide di bastare a sé stesso, affidandosi alla sua grande capacità di trovare melodie invitanti quasi in tutte le occasioni. Viene così poco sfruttata la co-produzione di Robert Carranza, uno che ha imparato a creare suoni dietro le quinte dei dischi di Beck e Bjork, e oggi passa dai Los Lobos ai Mars Volta con disinvoltura. Little Twig, No Mercy For The Muse o Sometimes The Wheels sono mattoni d'obbligo nel muro di malinconia che vi state costruendo intorno allo stereo, se invece pensate ancora che il rock questi muri serva ad abbatterli, tenetevi a debita distanza da Oh! Mighty Engine: potrebbe anche farvi venir voglia di una piacevole crisi depressiva pre-autunnale (Nicola Gervasini)
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