26/02/2007
Rootshighway
VOTO: 6,5
L'ironico paradosso della storia dei Brandos è che tutto il mondo conosce la musica di Seattle, tutta Seattle conosce bene la musica dei Brandos, ma il mondo non conosce la musica dei Brandos. Il sillogismo non quadra, ma se chiedete al primo Chris Cornell o Mark Lanegan che vi capita a tiro se li conosce, vi dirà che per i musicisti della loro generazione il leader Dave Kincaid era un mito, anche solo perché nel 1983 vinse una gara indetta da MTV con una band chiamata The Allies e fu il primo artista in città a vedere un proprio video sulla storica emittente. Quando nel 1985 Kincaid, forte di quella fama locale, fondò i Brandos, tutti scommettevano sul loro futuro, ma in città il vento cambiò e il sound della band, anello di congiunzione tra i Creedence Clearwater Revival e i Thin White Rope di Sack Full Of Silver, uscì fuori moda prima ancora di diventarlo. Nel 1990 il secondo album della band fu rifiutato dalla RCA e rimase nei magazzini, così dal 1992 diventarono probabilmente una delle poche band di Seattle a non avere un contratto con una major. Sciolta nel 1997 dopo altri quattro album e un grezzissimo live, con produzioni indie sanguigne e di valore come The Light Of Day del 1994 (un notevole quasi-concept sulla vita dei fuorilegge,sicuramente il migliore del lotto), Kincaid ha vivacchiato reinventandosi una carriera nel mondo dell'irish-folk tradizionale, con anche l'onore di aprire concerti per Van Morrison. Oggi un po' a sorpresa riesuma il vecchio nome e i vecchi compagni (ma manca Scott Kempner, l'ex Del Lords che si unì alla band tra il 94 e il 96) per un come-back convinto ed energico come ai tempi d'oro. Gli anni lo hanno reso produttore più capace, in quanto Over the Border ha un suono molto più brillante delle cupe sonorità di dieci anni fa, ma per quel che riguarda il materiale invece che ripartire da zero con nuove idee, Kincaid ha voluto probabilmente fare un riassunto delle puntate precedenti condensando in dieci canzoni tutto il suo mondo e la sua carriera. C'è il passato con una devastatane versione di Trial By Fire, che era la title-track dell'album fantasma del 1990, c'è la solita imitazione di Fogerty in Walking Home, c'è l'amore per l'hard rock anni settanta con The Only Love I Can Get (che guarda caso vede l'ex Free e Bad Company Simon Kirke alla batteria…), non manca il traditional irlandese di The New York Volunteer (in cui è aiutato da Jerry O'Sullivan, un grande del genere), si omaggia il rock acido con una veloce versione di Dino's Song dei Quicksilver Messenger Service, per finire con l'amore delle storie di confine in chiave tex-mex di Over The Border. Chiude il tutto una bella versione di Guantanamera, riprodotta nella rigorosa lezione di Pete Seeger, e il piatto è completo. Poco da dire sugli altri bocconi, tutti a confermare tanta voglia di tornare sulla breccia ma poche nuove idee per farlo. Resta la passione e un disco comunque divertente, e non è neanche poco in fondo per una band che avevamo anche un po' sepolto nella memoria.(Nicola Gervasini)
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