lunedì 15 settembre 2008

VARI - I'm Not There, Original Soundtrack


novembre 2007

Rootshighway


VOTO: 8



Del film I'm Not There abbiamo già ampiamente parlato, ma a distanza di qualche settimana dobbiamo aggiungere che l'opera di Todd Haynes nelle sale italiane è andata malissimo, con il risultato di farne la pellicola più incompresa degli ultimi anni. Il problema non è stato certo Bob Dylan e l'interesse che è ancora possibile creare intorno al suo mito, quanto il fatto che il film è stato descritto da più parti come un'accozzaglia di riferimenti alla sua vita e alla sua musica comprensibili solo per gli appassionati più stretti. Difficile quindi che il pubblico poco attento ai particolari potesse essere interessato ad una storia che non raccontasse le note proteste politiche e la Beat Generation, ma la vita di sei personaggi che con il Dylan di pubblico dominio hanno veramente poco a che spartire. La colonna sonora, uscita più tardi per accompagnare l'uscita del film negli States, condivide lo stesso coraggio della pellicola nel non concedere nulla a questa immagine inevitabilmente massificata di Dylan. Così laddove una semplice biografia sarebbe stata accompagnata da un mix di canzoni originali e rivisitazioni offerte da artisti "à la page" per il grande pubblico, qui ci troviamo di fronte ad un doppio cd di cover offerte da un'intelligente selezione dei nomi più interessanti della scena indie-roots più o meno moderna. Innanzitutto i curatori Randall Poster e Jim Dunbar hanno avuto la splendida idea di utilizzare due band fisse per accompagnare i diversi artisti, con il risultato di avere non il solito insieme di frattaglie musicali tipico dei tribute-album, ma un progetto unitario dal punto di vista sonoro e con piena dignità di album a sé stante. A fare da house-band sono nientemeno che i Calexico e un supergruppo creato per l'occasione e ribattezzato The Million Dollar Bashes, un combo formato da Lee Ranaldo e Steve Shelley dei Sonic Youth, Tom Verlaine, il bassista Tony Garnier, il chitarrista dei Wilco Nels Cline, il chitarrista Smokey Hormel e l'organista John Medeski. 33 cover più il brano di Dylan che dà il titolo al film, una delle tante outtakes dei Basement Tapes registrata con la Band, che viene comunque riproposta e decisamente migliorata anche dai Sonic Youth. Oltre ad aver vinto la sfida di offrire una selezione di artisti per nulla scontata, l'altra grande prova vinta dal disco è quella di non risultare assolutamente inutile nonostante la materia presente sia in alcuni casi strasentita e strarivisitata. Quante versioni conosciamo ad esempio di All Along The Watchtower o di Knocking On Heaven's Door per averne bisogno di una nuova? Tante, troppe, eppure la travolgente cavalcata elettrica offerta da un Eddie Vedder sempre più in stato di grazia o la celestiale visione del cielo offerta dalla voce di Antony & The Johnsons rendono anche queste nuove versioni particolari e necessarie. E il discorso vale anche per altri evergreen del songbook dylaniano come la Just Like A Woman offerta da un'evanescente quanto fascinosa Charlotte Gainsbourg o per la sorprendente versione tex-mex di One More Cup Of Coffee (con i Calexico, of course) offerta da Roger McGuinn, uno che con le canzoni di Dylan è nato e probabilmente morirà. Ma il vero paradiso per dylanofili è ascoltare una pletora di brani "minori", pescati in gran parte dagli anni 60, rivisitati da artisti davvero "di nicchia" come i clamorosi Hold Steady, gli eterei Glen Hansard & Market Irglova, l'imprevedibile Iron & Wine che stravolge un testo difficile come Dark Eyes o una Cat Power sempre più padrona dei suoi mezzi che sporca di soul un testo sacro come Stuck Inside Of Mobile With The Memphis Blues Again. Ma non ci sono solo nomi di ultima generazione, oltre al già citato McGuinn, vengono riesumati con successo anche altre vecchie lenze come Richie Havens con le sue nervose cavalcate acustiche, un Willie Nelson perfettamente calato nelle atmosfere di Señor, e l'immancabile Ramblin' Jack Elliott che folkeggia Just Like Tom Thumb's Blues trasformandola nel brano che Pete Seeger avrebbe voluto sentire in quel famoso festival di Newport del 1965. Oppure mostri sacri del rock di fine anni settanta come Tom Verlaine o uno splendido John Doe che nobilita il gospel di Pressing On e offre una davvero azzeccata interpretazione di I Dreamed I Saw St. Augustine, o semplici nomi di primo piano per il mondo roots come il sofferto Jeff Tweedy di Simple Twist Of Fate o i fin troppo impeccabilmente prevedibili Los Lobos di Billy 1. E ancora rappresentanze dal rock anni 90 con il solito Mark Lanegan e uno Stephen Malkmus calato in pieno gusto sixties, ricordi dei bassifondi degli 80 come i mai dimenticati Yo La Tengo (ottima la loro Fourth Time Around) o nuovi eroi dei sotterranei del nuovo millennio come quel Jim James dei My Morning Jacket che rende perfetta Going To Acapulco, gli spigolosi Black Keys contro le dolci smussature del suono di Jack Johnson e Sufjan Stevens, e tanti altri che non citiamo giusto per non ridurci a fare un mero elenco della spesa. Quello che ci preme evidenziare infatti non è tanto chi si distingue e chi fallisce nel rileggere i testi dylaniani (lasciamo al gusto di ogni singolo ascoltatore questo divertente giochetto), ma piuttosto quanto questo disco, coinvolgendo artisti di ogni età ed estrazione, abbia voluto diventare un definitivo tributo alla musica americana tutta, vista come un'unica grande famiglia che continua a rigenerarsi di decennio in decennio senza mai dimenticare le radici comuni. E Dylan in tutto questo fa solo da collante, qui la sua veste non è quella di protagonista ma di semplice nume tutelare, e di certo non ha bisogno di altri omaggi perché ne esistono già parecchi e molto più mirati sulla sua figura di questo (penso quest'anno al Dylanesque di Bryan Ferry o alle mille sue cover che continuano ad uscire, non ultime quelle del recentissimo David Gray). E in un certo senso, visto che l'elenco degli artisti coinvolti sembra stilato da un nostro attento lettore, potremmo tranquillamente e senza falsa modestia considerarlo un tributo a tutti noi e al nostro mondo musicale, una sorta di ideale "rootsparty" dei nostri beniamini per festeggiare la nostra più grande passione.(Nicola Gervasini)

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