lunedì 15 settembre 2008

WILCO - Live in Torino 2007


17/07/2007

Rootshighway



Probabilmente poi scopriremo che Jeff Tweedy è un bravissimo attore e sa fingere alla grande, ma volendo mantenere un ingenuo ricordo del concerto dei Wilco tenuto in una afosa serata nello Spazio 211 di Torino, possiamo tranquillamente raccontare di aver assistito ad un avvenimento davvero speciale. Settimo appuntamento dello Spaziale Festival, rassegna che quest'anno ha regalato al pubblico piemontese un cartellone di tutto rispetto che comprendeva anche Sonic Youth, Bright Eyes e la strana coppia Beasts Of Bourbon/Mudhoney, i Wilco si ripresentano al pubblico italiano dopo soli due anni, forti dell'uscita di un disco come Sky Blue Sky che ancora una volta ha diviso pubblico e critica. Il tema della serata era dunque vedere come Tweedy e soci se la sarebbero cavata sul palco per coniugare le atmosfere "classic" del loro sforzo discografico più recente con le sperimentazioni dei capitoli precedenti. La band si presenta con la formazione a sei: oltre a capitan Tweedy c'erano il fedele bassista John Stirratt, il tastierista Mikael Jorgensen, il batterista Glenn Kotche, il jolly Pat Sansone, che si divideva tra chitarre e tastiere, e soprattutto il chitarrista Nels Cline, vero e proprio funambolo della sei corde e garante della spettacolarità dello show. Il concerto inizia quasi in sordina, i sei salgono sul palco senza salutare e iniziano a suonare senza neanche aspettare che si accendano le luci: come se dovessero seguire un ordine preciso si parte esattamente come inizia Sky Blue Sky, con Either Way e You Are My Face, che vengono riproposte in versione praticamente identica a quella in studio. Quanto basta per strabiliarsi per una pulizia dei suoni e una amplificazione talmente perfetta da sembrare un playback, cosa davvero mai sentita in questo genere di festival, dove di solito le prime canzoni servono al mixerista per tarare i suoni e si comincia a sentire decentemente dal quarto brano in poi. Tweedy non parla, è scuro in volto e ha l'aria di quello che ha fretta di finire la serata prima di venir mangiato dalle zanzare. Eppure nel frattempo Cline comincia a scaldarsi, si lancia in assoli rumoristici che infiammano la platea, gioca con gli amplificatori e sembra davvero un perfetto incrocio tra i gigionamenti avanguardistici di Blixa Bargeld (Nick Cave & The Bad Seeds e Einstürzende Neubauten) e le dissonanze sonore dei Sonic Youth, salvo poi svelare di essere anche un musicista molto tecnico, come vuole la tradizione jazz-fusion da cui proviene. La tensione intanto sale, il repertorio sonda soprattutto gli ultimi quattro album, e proprio la dimenticanza dei primi due fa scoppiare il siparietto comico della serata, quando uno spettatore alticcio della prima fila richiede Casino Queen (era su A.M.del 1995). Tweedy a quel punto finalmente rompe il silenzio per spiegare tranquillamente che quella era una canzone poco brillante, che non gli piace più, mentre quelle dell'ultimo album sì che sono brillanti. Peccato che mentre dimostrava il concetto eseguendo Sky Blue Sky lo spettatore in questione abbia avuto un reale conato di vomito, tanto che Tweedy si interrompe per dirgli "se proprio questa non ti piaceva potevi dirlo in un altro modo…!". Risate generali e il ghiaccio è rotto, l'episodio, insignificante in sé, scatena una lunga serie di battute di un divertito Jeff, mentre lo spettatore collassa definitivamente dopo qualche brano e viene portato via. Nel frattempo i brani si susseguono: Via Chicago e I'm Always In Love da Summerteeth vengono eseguite in maniera esemplare, i brani di Yankee Hotel Foxtrot dal vivo acquistano nuova linfa vitale, come ad esempio Kamera, Heavy Metal Drummer, Poor Places, I'm the Man Who Loves You e l'acclamatissima Jesus,etc. Grande spazio ovviamente all'ultimo disco con Impossible Germany, Shake It Off e una divertente Walken a far la parte del leone, anche se qualcuno nel pubblico alla fine lamenterà la mancata esecuzione di What A Light, uno dei brani più orecchiabili. Da A Ghost Is Born invece vengono una devastante Handshake Drugs e la bella Theologians. Il concerto comincia a questo punto ad avere tempi lunghi e qui Tweedy la spara grossa asserendo che questa è l'unica serata del tour in cui possono suonare quanto vogliono, per cui la scaletta sarà la più lunga e completa. Ovviamente ci crediamo tutti e parte un'ovazione all'annuncio. Le sorprese non finisco però: nel finale, durante l'indiavolato refrain chitarristico di Spider (Kidsmoke), un blackout lascia improvvisamente tutti al buio: il pubblico non si perde d'animo e nella piena oscurità continua ad intonare il ripetitivo motivetto (roba da far invidia al po-po-po-po da stadio degli White Stripes). Non si scompone neanche Pat Sansone (un uomo che sembra appena uscito da una beat-band degli anni '60), che dal suo cilindro tira fuori percussioni di ogni sorta, le distribuisce alla band e tutti e sei per quasi dieci minuti accompagnano ritmicamente il pubblico in attesa del miracolo dei tecnici. La luce poi torna e il brano, come se nulla fosse successo, riprende da dove si era interrotto. Alla fine un Tweedy visibilmente emozionato per l'accaduto la spara ancora più grossa e dice che il pubblico di Torino è migliore di qualsiasi pubblico di lingua inglese. Bum! Vero o falso che sia, ci crediamo e l'ovazione a questo punto accompagna gli ultimi esaltanti brani: una incredibile A Shot In The Arm, una Hummingbird in cui Tweedy ormai senza freni si mette pure a ballare, e saluto finale con The Late Greats. Più di due ore piene di una band che suona davvero perfetta, a volte forse fin troppo da marziani per non dare una leggera sensazione di molto poco di improvvisato e tanto di studiato a tavolino. E se poi Tweedy dirà anche ai francesi che sono un pubblico speciale in una serata speciale, noi faremo finta di non saperlo

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