mercoledì 17 settembre 2008

EMMYLOU HARRIS - All I Intended To Be


30/06/2008

Rootshighway


VOTO: 7



Ci ha messo 40 anni Emmylou Harris per fare questo album, ma lei evidentemente non aveva fretta, e a noi ha gettato bocconi ben dolci per ingannare l'attesa. Lo ha intitolato significativamente All I Intended To Be, perché oggi si sente finalmente arrivata al suo traguardo, quello di essere un'artista completa, capace di scrivere una buona canzone, interpretare con personalità materiale altrui, e pensare un disco anche dal punto di vista produttivo, dai suoni ai musicisti da coinvolgere. Con la pazienza di una Penelope che fa e disfa continuamente la propria tela, Emmylou negli anni ha imparato il verbo della nuova country-music dall'amato Gram Parsons, ha insegnato il dogma a miriadi di nuove country-ladies che a lei si sono ispirate, diventando icona di perfetto stile e sobrietà. Ci ha messo più di dieci anni a scrivere di suo pugno almeno i testi di un disco (l'interessante saga semi-autobiografica di The Ballad Of Sally Rose del 1985), altri dieci per decidere di saltare i confini di un genere affidando cuore, anima e voce a Daniel Lanois, che con l'affascinante Wrecking Ball l'ha resa star per tutti i palati. Diventata anche vera autrice con Red Dirt Girl, la Harris si spoglia ora dell'ultimo salvagente (le rassicuranti produzioni di Malcolm Burn), e per la prima volta fa tutto da sola, decidendo addirittura di richiamare in cabina di regia l'ex marito Brian Ahern, suo produttore ai tempi d'oro della Hot Band. E quindi libero sfogo al suo mondo, fatto di un esercito di musicisti della Nashville d.o.c. (da Vince Gill a Dolly Parton, ma la lista è lunga), cover di amici vecchi e nuovi (Patty Griffin, Billy Joe Shaver, Merle Haggard, la poco nota Jude Johnstone, che offre però con Hold On uno dei brani migliori della raccolta), e un suono acustico e vibrato totalmente al servizio della sua voce, sofferta, melodiosa, decisamente inconfondibile. E poi ci sono ancora i suoi brani, con una Broken Man's Lament che strappa lacrime e applausi, una Gold che in gioventù deve aver sottratto con un bacio a Gram Parson, o una Take That Ride che suona già come un classico. E ancora riunioni con vecchie maestre di canto (la corale How She Could Sing the Wildwood Flower, interpretata e scritta con le sorelle Kate e Anna McGarrigle) e una sorprendente All That You Have Is Your Soul di Tracy Chapman. All I Intended To Be giustifica in pieno la sua recentissima ammissione alla Country Music Hall of Fame, perchè il suo intransigente country acustico è anche una decisa e definitiva scelta di campo e di identità, e immaginiamo che il pubblico guadagnato con le più recenti super-produzioni troverà tutto ciò lento, noioso e alquanto vetusto. Ma lei ha raggiunto la piena coscienza di quello che vuole essere dopo 40 anni raminghi, noi gliene concediamo volentieri altrettanti per poter arrivare a creare quel capolavoro tutto suo che ancora le manca, e di cui questo disco, tanto bello quanto troppo autoindulgente, appare essere solo una premessa.(Nicola Gervasini)

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