martedì 16 settembre 2008

PATTY LARKIN - Watch The Sky


16/04/2008
Rootshighway


VOTO: 6,5


Sono molti i grandi musicisti che nel corso della loro carriera hanno avuto la folle tentazione di registrare un disco scrivendo, producendo e suonando tutto da soli. L'idea di essere sufficienti a sé stessi è allettante per l'ego di un artista, ma la strada per ottenere grandi risultati è piena di ostacoli e pericoli. Dopo cinque anni di silenzio dal precedente album Red=Luck, Patty Larkin torna con questo atteso Watch The Sky e sfrutta tutta la fiducia che la Vanguard ripone in lei, dopo quasi dieci anni di rapporto, per tentare il colpo con un album completamente autarchico. E non stiamo parlando di un disco solo voce e chitarra, ma di un set di dodici canzoni di ossatura blues, country e folk arrangiate con grande dispiegamento di mezzi e strumenti dalla nostra Patty, che per l'occasione sfoggia la sua collezione di strumenti: chitarre acustiche, elettriche, baritonali, lapsteel, National steel, e ancora banjo, bouzouki, basso, organetti giocattolo, campanelli e un bel sintetizzatore per programmare loops di ogni sorta. Il risultato è qualcosa che la allontana ormai totalmente dalla musica degli esordi di più di vent'anni fa, quando veniva descritta come la nuova Bonnie Raitt per quel suo mix di blues e folk che le ha fatto guadagnare tanto rispetto. Watch The Sky ricorda invece la modernità dei dischi di Beth Orthon o gli Over The Rhine meno folkie di Music For Films (ascoltate i cinque minuti dell'interessante Walking In My Sleep per rendervene conto), cerca la via della canzone d'atmosfera (All Souls Day) e persino le chitarre vengono spesso utilizzate come se fossero tastiere da accompagnamento invece di giocare il ruolo da protagoniste, addirittura anche quando ci si trova davanti ad uno strumentale come Bound Brook. La Larkin nel gioco riesce in maniera convincente a non far sembrare questi brani come semplici abbozzi o demo di un disco che ancora deve essere realizzato, ma come un opera pienamente compiuta, ma non riesce infine ad evitare che ad esempio l'ascolto di Travelling Alone faccia immaginare quanto di non comunicato ci sia in un arrangiamento scarno e in qualche modo mozzo, che indubbiamente toglie qualcosa al senso evocativo del testo. Watch The Sky riesce comunque a non celare il gran talento della Larkin, offrendo un pugno di canzoni come Cover Me o l'intensa Hallelujah che potrebbero entrare di diritto nelle pagine migliori del suo songbook. Ma la nostra memoria ci fa anche ricordare che già nel 1967 John Mayall fu tra i primi a tentare con il suo The Blues Alone la via del self-made-album e il risultato è il suo titolo meno memorabile e celebrato dell'epoca d'oro del brit-blues. Allora forse non esistevano tutte le diavolerie elettroniche che fan sembrare questo disco comunque suonato da una band, ma resta l'idea che anche gli artisti più autorevoli abbiano bisogno di un confronto costante e stimolante in studio per far risplendere al meglio le loro creazioni. E Watch The Sky, nonostante sia un disco non disprezzabile, non riesce a diventare l'eccezione a questa regola.(Nicola Gervasini)

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