01/06/2007
Rootshighway
VOTO: 8
Cerchiamo pure l'artista in grado di strabiliarci con nuovi effetti speciali, cerchiamo pure di seguire intriganti percorsi artistici volti ad un imperscrutabile futuro, cerchiamo pure "The Next Big Thing", ma alla fine torneremo tutti sempre qui: al rock di Ian Hunter. Un rock vecchio come i giri di accordi stra-abusati di Brainwashed, un rock che passa da melodie risapute come Guiding Light, un rock che si serve del tipicissimo incipit per armonica e chitarre spianate "alla The Promised Land di Springsteen" di Soul Of America (una delle tante invettive anti-Bush del disco, giusto perché mancava una voce al coro…). Insomma, il solito rock vecchio di trent'anni e più dei Mott The Hoople, quando Ian tentava di raggiungere Dylan servendosi dei riff di Chuck Berry. Quest'uomo in fondo fa questa musica da sempre, con una qualità e una continuità da far invidia ai più, pubblica poco ma bene (gli altrettanto notevoli Dirty Laundry del 1995 e Rant del 2001 e il meno consigliabile The Artful Dodger del 1996 sono gli unici album in studio negli ultimi 17 anni), e da anni non sposta di una virgola la sua proposta: puro rock and roll, fatto da uno che sa cantare sempre meglio e sa scrivere buone canzoni. Shrunken Heads è forse il suo sforzo più mirato e dosato dai tempi d'oro, 11 brani semplici, suonati con una band di primo livello (in cui, oltre all'inossidabile bassista Graham Maby, fa una comparsata anche la violinista di Springsteen Suzie Tyrell) . Si parte subito con il capolavoro del disco, lo splendido mid-tempo di Words (Big Mouth), acustiche in evidenza e un organo che cerchi subito Al Kooper nei credits ma trovi il bravo produttore Andy Burton, testo ironico sulla sua proverbiale poca diplomaticità e la voce sofferta di Jeff Tweedy dei Wilco in sottofondo. Potremmo anche fermarci qui, ma c'è ancora tempo per divertirsi: con Fuss About Nothin' si gira dalle parti del New Jersey sound, Shrunken Heads riporta in auge certe splendide lunghe ballatone che erano il suo marchio di fabbrica ai tempi di lustrini e paillettes. E c'è ancora lo sporchissimo delta-rock di How's Your House (che ironizza sulle disgrazie di New Orleans dopo l'uragano con frasi tipo "non c'è più niente da mangiare, la cucina è finita sulla macchina e sta fluttuando giù per la strada…"), si va sul pesante con Stretch, si fa dell'auto-ironia con la bar-song I Am What I Hated When I Was Young (altro brano da consegnare ai posteri) e si finisce alla grande con Read 'Em 'N' Weep una di quelle piano-song da far schiacciare il tasto repeat del lettore all'infinito. Purtroppo si passa anche per When The World Was Round, un brano che sta a cavallo tra i lenti di Bryan Adams e l'inno da stadio del nostro Vasco Rossi, con un bel campionario da AOR rock fatto di batterie elettroniche, tastiere e echi di voci a sottolineare le melodie. Ma non spaventatevi: il vecchio rock era anche questo, Hunter è già riuscito a farcelo digerire in altre occasioni e anche stavolta va giù che è un piacere. Sì, è vero, l'avevamo già sentito questo disco, ma probabilmente ne avevamo ancora bisogno…ti supplichiamo Ian, rifallo ancora.(Nicola Gervasini)
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