martedì 16 settembre 2008

COUNTING CROWS - Saturday Nights & Sunday Mornings


04/04/2008
Rootshighway
VOTO: 7


Cominciamo dai ringraziamenti: quelli di Adam Duritz recitano così: "Voglio ringraziare Gil (Norton) e Brian (Deck) per avermi capito e per aver supportato questo album, alla faccia della disapprovazione della Universal!". Non siamo dalle parti del mitico dito medio sollevato da Johnny Cash verso l'industria discografica e radiofonica nashvilliana, ma poco ci manca. Non ci è dato sapere cosa avesse in mente una major come la Universal per questo (troppo a lungo) atteso quinto capitolo della saga dei Counting Crows (per quanto sia facilmente immaginabile), ma almeno sappiamo così che Saturday Nights & Sunday Mornings è esattamente quello che Adam Duritz voleva ed aveva in mente. Vale a dire un disco bifronte, con le notti del sabato elettriche come non mai, affidate a quel Gil Norton che già era stato il fautore del suono secco e diretto di Recovering The Satellites, e le domeniche mattina dedicate alle sonnacchiose ballate acustiche prodotte da Deck. Un'idea intrigante, se non fosse che alla prova dei fatti i due suoni finiscono per cozzare l'uno con l'altro, dandosi anche fastidio. Diciamolo più direttamente: Deck ne esce benino, anche se forse certi episodi domenicali mancano un po' di carattere, ma Norton stavolta ha un po' toppato, le chitarre che sovrastano brani come 1492 (il cui testo è invece la cosa più notevole scritta da Duritz per l'occasione), Cowboys o l'insipida Hanging Tree sono esagerate, sguaiate e irritabilmente metalliche. Il problema forse non è solo di Norton, ma anche del fatto che i Counting Crows oggi contano ben tre chitarristi (Dan Vickrey, David Bryson e il funambolico David Immergluck) che sono tutti bravi comprimari, ma nessuno pare dotato di una personalità tale da poter essere lasciati così a briglia sciolta. Di fatto quando nella parte acustica i tre si defilano imbracciando banjo e mandolini e lasciano più spazio al piano di Charles Gillingham, il risultato è che finalmente emergono le canzoni di Duritz, da sempre il vero punto di forza dei Counting Crows. E lo sono ancora, perché dal punto di vista compositivo questo disco trova non pochi momenti ancora una volta sopra la media, ed è forse solo per l'abitudine a vederli volare alto che non ci stupiamo più di una ballata come Los Angeles, scritta a quattro mani con Ryan Adams, o di momenti intensi come Washington Square, Sundays, When I Dream Of Michelangelo o del bel finale di Come Around. Certo, forse sarebbe anche ora che Duritz ci spiegasse cosa lo fa essere sempre così depresso e malinconico, e stavolta la piano-song di turno (On a Tuesday in Amsterdam Long Ago) esagera un po' in piaggeria, ma forse il giorno che le sue pene dovessero finalmente trovare pace, i suoi lamenti ci mancherebbero pure. I Counting Crows hanno avuto un'idea, e gli è venuta meno bene del solito, confermandosi però tra i pochi nomi che hanno ancora il coraggio e il talento per averne una. Come si dice anche negli ambienti di lavoro: chi fa, sbaglia.(Nicola Gervasini)Cominciamo dai ringraziamenti: quelli di Adam Duritz recitano così: "Voglio ringraziare Gil (Norton) e Brian (Deck) per avermi capito e per aver supportato questo album, alla faccia della disapprovazione della Universal!". Non siamo dalle parti del mitico dito medio sollevato da Johnny Cash verso l'industria discografica e radiofonica nashvilliana, ma poco ci manca. Non ci è dato sapere cosa avesse in mente una major come la Universal per questo (troppo a lungo) atteso quinto capitolo della saga dei Counting Crows (per quanto sia facilmente immaginabile), ma almeno sappiamo così che Saturday Nights & Sunday Mornings è esattamente quello che Adam Duritz voleva ed aveva in mente. Vale a dire un disco bifronte, con le notti del sabato elettriche come non mai, affidate a quel Gil Norton che già era stato il fautore del suono secco e diretto di Recovering The Satellites, e le domeniche mattina dedicate alle sonnacchiose ballate acustiche prodotte da Deck. Un'idea intrigante, se non fosse che alla prova dei fatti i due suoni finiscono per cozzare l'uno con l'altro, dandosi anche fastidio. Diciamolo più direttamente: Deck ne esce benino, anche se forse certi episodi domenicali mancano un po' di carattere, ma Norton stavolta ha un po' toppato, le chitarre che sovrastano brani come 1492 (il cui testo è invece la cosa più notevole scritta da Duritz per l'occasione), Cowboys o l'insipida Hanging Tree sono esagerate, sguaiate e irritabilmente metalliche. Il problema forse non è solo di Norton, ma anche del fatto che i Counting Crows oggi contano ben tre chitarristi (Dan Vickrey, David Bryson e il funambolico David Immergluck) che sono tutti bravi comprimari, ma nessuno pare dotato di una personalità tale da poter essere lasciati così a briglia sciolta. Di fatto quando nella parte acustica i tre si defilano imbracciando banjo e mandolini e lasciano più spazio al piano di Charles Gillingham, il risultato è che finalmente emergono le canzoni di Duritz, da sempre il vero punto di forza dei Counting Crows. E lo sono ancora, perché dal punto di vista compositivo questo disco trova non pochi momenti ancora una volta sopra la media, ed è forse solo per l'abitudine a vederli volare alto che non ci stupiamo più di una ballata come Los Angeles, scritta a quattro mani con Ryan Adams, o di momenti intensi come Washington Square, Sundays, When I Dream Of Michelangelo o del bel finale di Come Around. Certo, forse sarebbe anche ora che Duritz ci spiegasse cosa lo fa essere sempre così depresso e malinconico, e stavolta la piano-song di turno (On a Tuesday in Amsterdam Long Ago) esagera un po' in piaggeria, ma forse il giorno che le sue pene dovessero finalmente trovare pace, i suoi lamenti ci mancherebbero pure. I Counting Crows hanno avuto un'idea, e gli è venuta meno bene del solito, confermandosi però tra i pochi nomi che hanno ancora il coraggio e il talento per averne una. Come si dice anche negli ambienti di lavoro: chi fa, sbaglia.(Nicola Gervasini)

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