VOTO: 8
“Il primo album parlava della vita che ti getta in una fossa, questo disco invece racconta della redenzione che ti fa uscire da quella fossa”. Sintetizza così Dan John Miller, front-man dei Blanche, la differenza tra il loro nuovo cd Little Amber Bottles e il primo album If We Can't Trust The Doctors, un disco che rappresenta un vero e proprio piccolo cult per tutta quella folta scena di band che vivono in bilico tra la scena roots più classica e il variopinto mondo del rock indipendente. Da sempre sponsorizzati dall’amico Jack White degli White Stripes, i Blanche sono composti oltre che dal cantante e chitarrista Dan John Miller, dalla moglie Tracee Miller, che con lui si alterna alla voce con un effetto molto simile a quello degli X del duo Doe-Cervenka, e dagli ottimi strumentisti Dave Feeny (un nome che si ritrova spesso anche come session-man alla pedal steel in dischi di altri artisti, vale per tutti Van Lear Rose di Loretta Lynn), il polistrumentista Little Jack Lawrence (membro stabile anche dei Raconteurs, il side-project di Jack White) e infine la batterista Lisa Jaybird Jannon. Storia vuole che il disco fosse già pronto da almeno un anno, ma il solito problema di trovare la casa discografica giusta per avere un minimo di distribuzione, unitamente ad una serie di diversi impegni dei musicisti, ha fatto ritardare tutto. Impegni, tra l’altro, che hanno portato i due coniugi ad apparire nel film-biografia su Johnny Cash, nei panni di Luther Perkins e signora. Paladini di quel gothic-country che può essere ricollegato da un lato a band come gli Handsome Family, dall’altra al country da fuorilegge dello stesso Cash, i Blanche sono comunque figli di quel mood sgangherato e volutamente low-fi tipico della scena indie. Prodotto da Mark Nevers, specialista della materia grazie alle passate esperienze con Will Oldham e i Lambchop (ma anche l’uomo che ha riportato recentemente a grandi livelli il vecchio Charlie Louvin), Little Amber Bottles fa capire subito la sua natura fin dalla iniziale I’m Sure Of It, quasi una cowboy song resa tesa da una sezione d’archi. Seguono poi Last Years Leaves, impreziosita da un impasto di chitarre molto vintage, l'arrabbiata What This Town Needs e il dark-country The World I Used to Be Afraid Of. La chicca per curiosi è rappresentata dalla cover di Child Of The Moon, la storica b-side del 45 giri di Jumpin' Jack Flash, un brano che i Rolling Stones registrarono nel discusso periodo psichedelico del 1967 e che potete facilmente reperire nello splendido cofanetto Singles Collection: The London Years di Jagger e soci. I Blanche trattano il pezzo come se uscisse da un accampamento di esausti fuorilegge, eliminano tutte le cadenze psichedeliche dell’originale, e regalano una insospettabilmente dolce e suadente ballata che spezza il clima cupo del disco. Il cd scorre benissimo tra tristi inni funebri (O Death, Where Is Thy Sting), ubriache e brechtiane canzoni da saloon (I Can't Sit Down), intense murder ballads (The World Largest Crucifix) vicinissime nello spirito a un certo Nick Cave. Sicuramente neanche i Blanche sfuggono a quell’aria morriconiana da frontiera del west che anima canzoni come No Matter Where You Go (dove compare anche il violoncello di Isobel Campbell), la stessa concezione di musica da film che porta la band a confezionare uno strumentale come Exordium, che pare uscito da un disco dei Calexico (con i quali, guarda caso, vanno spesso in tour). La voce stralunata di Tracee si fa notare nell’ipnotica title-track, e nella notevole A Year From Now, mentre Dan chiude il disco con il rassicurante country-waltz di Scar Beneath The Skin, a sancire la definitiva uscita dal fosso delle miserie umane. Una chiusura di un percorso davvero coinvolgente e ben riuscito, che a questo punto lascia molta curiosità sulle evoluzioni per il prossimo album, per il quale speriamo stavolta di non dover aspettare altri tre anni. (Nicola Gervasini)
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