30/01/2008
Rootshighway
VOTO: 8
Devono aver assunto dei bravi sceriffi nelle Big Town americane, perché da qualche tempo non ci arrivano più molte notizie di giovani e validi outlaws del country degni di cotanta tradizione. Tocca quindi spostarsi nelle piccole cittadine abbandonate a sé stesse lungo le highway che non portano più all'oro per trovare personaggi come Lee Mellor. Oltretutto vai a scoprire che questo venticinquenne che canta come se fosse il figlio di Terry Allen e suona come il giovane Steve Earle non solo viene dal Canada, ma è nato in Inghilterra, in una cittadina resa ulteriormente grigia dalla presenza di un grande inceneritore. Ghost Town Heart è il suo primo disco, realizzato indipendentemente con l'aiuto del produttore Paul Johnston, e uscito in sordina a metà dell'anno scorso quando invece avrebbe meritato ben altra accoglienza. Non è mai però troppo tardi per salutare un autore fresco e notevolmente già maturo, un giovane che rifugge le storie metropolitane per raccontarci ancora una volta dei killer delle piccole città (The Greatest Killer In A Small Town) di ragazze perse sulle autostrade (Girl On The Highway), dei lunghi dialoghi con gli specchi dei bar di provincia (Bar Mirror) e di cuori persi in città fantasma, dove si rincorrono anime allo sbaraglio come arbusti rotolanti del deserto (Tumbleweed). Conscio di avere davanti tutto il tempo per costruirsi uno stile ancora più personale, Mellor riesce ad impressionare anche usando schemi noti, come quando fa il verso agli outlaw-singer classici nella country-ballad Ain't No Whiskey (con tanto di imitazione del vocione alla Johnny Cash…) o quando, in Jessie Hynes, si lancia in un indiavolato hillbilly boogie. Mellor è innanzitutto uno storyteller che non si preoccupa di avere tempi dilatati come nei sei minuti e passa di St Lawrence River, lunga epopea sullo sfondo del fiume che attraversa le terre del Quebec, o nella notevole Nowhere, Manitoba, altro brano dedicato ad una regione del Canada sconosciuta ai più, dove silenziosamente si passa la vita a lavorare per produrre le farine tipiche della zona. La band di casa non vanta nomi noti ma non fa mancare momenti di grande spessore musicale, come lo scatenato assolo di violino di Jonathan Moorman nel finale della oscura Gravedigger Blues, il vibrante assolo di sax di Robert M. David in Bar Mirror, i bei cori di Trish Robb o il bell'impatto sonoro dell'iniziale Liberty Street. Mellor se la cava egregiamente anche quando prova ad alzare i toni, digrignando i denti per cantare un rauco brano rock come Big Rusty Hammer, dove anche il chitarrista Christopher Pennington trova il suo momento di gloria. Ma se davvero ci sentiamo di scommettere sul suo nome è perché il ragazzo è già capace di offrire una splendida canzone come la conclusiva Blow My Heart Out Of The Night, una epica ballata che se fosse uscita trent'anni fa vanterebbe già decine di cover e rivisitazioni. Se ripartirà da qui non ci deluderà di certo.(Nicola Gervasini)
Rootshighway
VOTO: 8
Devono aver assunto dei bravi sceriffi nelle Big Town americane, perché da qualche tempo non ci arrivano più molte notizie di giovani e validi outlaws del country degni di cotanta tradizione. Tocca quindi spostarsi nelle piccole cittadine abbandonate a sé stesse lungo le highway che non portano più all'oro per trovare personaggi come Lee Mellor. Oltretutto vai a scoprire che questo venticinquenne che canta come se fosse il figlio di Terry Allen e suona come il giovane Steve Earle non solo viene dal Canada, ma è nato in Inghilterra, in una cittadina resa ulteriormente grigia dalla presenza di un grande inceneritore. Ghost Town Heart è il suo primo disco, realizzato indipendentemente con l'aiuto del produttore Paul Johnston, e uscito in sordina a metà dell'anno scorso quando invece avrebbe meritato ben altra accoglienza. Non è mai però troppo tardi per salutare un autore fresco e notevolmente già maturo, un giovane che rifugge le storie metropolitane per raccontarci ancora una volta dei killer delle piccole città (The Greatest Killer In A Small Town) di ragazze perse sulle autostrade (Girl On The Highway), dei lunghi dialoghi con gli specchi dei bar di provincia (Bar Mirror) e di cuori persi in città fantasma, dove si rincorrono anime allo sbaraglio come arbusti rotolanti del deserto (Tumbleweed). Conscio di avere davanti tutto il tempo per costruirsi uno stile ancora più personale, Mellor riesce ad impressionare anche usando schemi noti, come quando fa il verso agli outlaw-singer classici nella country-ballad Ain't No Whiskey (con tanto di imitazione del vocione alla Johnny Cash…) o quando, in Jessie Hynes, si lancia in un indiavolato hillbilly boogie. Mellor è innanzitutto uno storyteller che non si preoccupa di avere tempi dilatati come nei sei minuti e passa di St Lawrence River, lunga epopea sullo sfondo del fiume che attraversa le terre del Quebec, o nella notevole Nowhere, Manitoba, altro brano dedicato ad una regione del Canada sconosciuta ai più, dove silenziosamente si passa la vita a lavorare per produrre le farine tipiche della zona. La band di casa non vanta nomi noti ma non fa mancare momenti di grande spessore musicale, come lo scatenato assolo di violino di Jonathan Moorman nel finale della oscura Gravedigger Blues, il vibrante assolo di sax di Robert M. David in Bar Mirror, i bei cori di Trish Robb o il bell'impatto sonoro dell'iniziale Liberty Street. Mellor se la cava egregiamente anche quando prova ad alzare i toni, digrignando i denti per cantare un rauco brano rock come Big Rusty Hammer, dove anche il chitarrista Christopher Pennington trova il suo momento di gloria. Ma se davvero ci sentiamo di scommettere sul suo nome è perché il ragazzo è già capace di offrire una splendida canzone come la conclusiva Blow My Heart Out Of The Night, una epica ballata che se fosse uscita trent'anni fa vanterebbe già decine di cover e rivisitazioni. Se ripartirà da qui non ci deluderà di certo.(Nicola Gervasini)
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