domenica 14 settembre 2008

LYLE LOVETT - It's Not Big, It's Large

05/10/2007


Rootshighway



VOTO: 7,5




Un tempo il fatto che Lyle Lovett avesse finalmente consegnato dopo cinque anni di attesa questo It's Not Big It's Large sarebbe stata una notizia di primaria importanza, oggi invece non si può fare a meno di notare lo scarso clamore suscitato. Nel 1986 Lovett rappresentava con Steve Earle una sorta di "new wave nashvilliana", gli headliners di una generazione di giovani songwriters legati sì alla tradizione, ma con grandi possibilità di far uscire il country dal zuccheroso filone in cui si era impantanato. Nel 1992 però, mentre Earle finiva a marcire nelle patrie galere, Lovett frequentava il jet-set hollywoodiano, finiva sui rotocalchi rosa per la relazione con Julia Roberts, e sempre più metteva il suo improponibile viso squadrato al servizio dei campionari umani del regista Robert Altman. La storia la conosciamo: Earle ne venne fuori con un periodo artisticamente esaltante, Lovett invece, stanco dei clamori non certo in linea con il suo personaggio, si è ritirato in un ostinato isolamento umano ed artistico. Da I Love Everybody del 1994 in poi le sue produzioni si sono diradate, con risultati mai esaltanti e allo stesso tempo sempre comunque soddisfacenti. It's Not Big It's Large non cambia la situazione, parte già dalla nascita per essere una ripresa di un discorso iniziato nel 1989 con Lyle Lovett And His Large Band, cioè un grande melting pot stilistico fatto di swing da big band, country e gospel. Il vecchio disco viene riprodotto anche nella successione delle canzoni: stavolta si parte con lo strumentale tutto fiati Tickle Toe e si passa subito ai sette minuti di I Will Rise Up/Ain't No More Cane, un mix tra un notevole brano di Lovett di stampo spiritual e il noto traditional, che viene poi riproposto nel finale del disco in una seconda coinvolgente versione. Siamo già al pezzo forte del cd, perché poi Lovett offre un campionario di tutto quello che già sapeva fare mettendoci molto mestiere (una ballata come This Travelling Around uno come lui la scrive in cinque minuti..) e andando a toccare le facili corde della commozione con la struggente Don't Cry A Tear, forse per dare più emotività a quel suo freddo aplomb. Come dovremmo comportarci davanti all'ennesimo disco di tal guisa? Dovremmo forse sottolineare la perfezione stilistica e la superiorità formale di un grande musicista o dovremmo auspicare che un giorno finalmente qualcuno gli arroventi la chitarra per dare a questo abile mestierante una smossa dal torpore creativo? Ad aiutarci nella scelta per la prima opzione ci vengono in soccorso una paio di splendide ballate come The Alley Song e soprattutto la strepitosa South Texas Girl, brani che ancora il "volgo profano" non sarebbe in grado di scrivere, mentre tutto il resto è piacevole routine, dalle divertenti scampagnate nella musica nera di Make It Happy e All Downhill alla canonica No Big Deal. Per questa volta gli è andata bene dunque, Lovett ha avuto la fortuna di trovare le zampate vincenti per convincerci ancora. Ma sia chiaro, è l'ultima volta che ci caschiamo…(Nicola Gervasini)

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